giovedì 27 dicembre 2018

Le prose meno note di Alda Merini: “Il ladro Giuseppe”. Racconti degli anni Sessanta.

Durante il periodo dei ricoveri ospedalieri, Alda Merini continuò a scrivere, senza pubblicare per circa un ventennio, una grandissima quantità di poesie, pensieri, lettere e prose. In particolare, spiccano queste ultime, tra cui alcuni racconti, composti intorno al 1962, editi da Scheiwiller a Milano sul finire degli anni Novanta: si tratta della raccolta Il ladro Giuseppe (1999).

Il periodo in cui furono composte queste narrazioni brevi, ma molto pregnanti, sia per quanto riguarda gli aspetti formali, sia sul versante dei contenuti, rappresentò per Alda una lunga catena di cocenti delusioni: le case editrici rifiutavano le sue opere e questo aggravava il suo senso di sofferenza esistenziale.

Tuttavia, le esperienze drammatiche legate all’internamento e al peso dello stigma sociale che ne derivava, non impedirono alla poetessa di tracciare nelle proprie prose interessantissimi e lucidi spaccati di vita quotidiana.

Nei racconti di Alda, ambientati nella Milano dei Navigli, dei caffè di periferia e dei quartieri popolari, composti in uno stile rapido ed essenziale, dalle trame semplici e dalla narrazione fluida, emergono eroi della strada, senzatetto e mendicanti disprezzati dai bempensanti, ma amati dai bambini e da chi, come i piccoli della parabola evangelica, ha il cuore puro.

Così, il povero Stringa diviene maestro di vita e di poesia, una poesia che non è sterile erudizione formale, ma è sostanziale amore per il mondo e per l’umanità, senza barriere.

“Un tipo ameno e pazzerellone può ben rappresentare un’epoca della nostra vita ed insegnarci qualcosa di veramente bello e profondo”: Alda ne traccia il ritratto con parole generose, colme di rispetto, dal grande valore educativo ancora oggi pienamente valido per le nuove generazioni.

Analogamente, un altro dimenticato dalla società viene dipinto con toni poetici e guardato con gli occhi della misericordia, quella benevolenza autentica che non si erge mai a giudizio, ma è comprensione dell’umana fragilità: è il ladro Giuseppe, “che aveva un cuor d’oro e una mano amichevole e pronta venata di belle e sane intenzioni”.

Un personaggio a tutto tondo, che vive di emozioni ed emozioni sa donare a piene mani: compie furti e piange; ha per amica una prostituta e ama i libri.

In quest’uomo che aveva, dice la poetessa, come ideale “il mondo intero”, Alda s’identifica, non per giustificare il furto, ovviamente, ma per cogliere, come una gazza, il meglio che la vita può dare: piccole gioie quotidiane di amicizia e condivisione, anche nell’abisso del dolore e dell’isolamento, quali gemme di speranza e redenzione: “credo anch’io nei gioielli ma nessuno me li regala, perché anch’io sono ladra di tutto, adesso, io che adesso sono poeta”.

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