domenica 30 dicembre 2018

Cedi la strada agli alberi

Franco Arminio

I: L’entroterra degli occhi
Pensa che si muore
e che prima di morire tutti hanno diritto
a un attimo di bene.
Ascolta con clemenza.
Guarda con ammirazione le volpi,
le poiane, il vento, il grano.
Impara a chinarti su un mendicante,
coltiva il tuo rigore e lotta
fino a rimanere senza fiato.
Non limitarti a galleggiare,
scendi verso il fondo
anche a rischio di annegare.
Sorridi di questa umanità
che si aggroviglia su se stessa.
Cedi la strada agli alberi.

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venerdì 28 dicembre 2018

Una storia di amore e di tenebra

di Amos Oz

Amore e tenebra sono due delle forze che agiscono in questo libro, un'autobiografia in forma di romanzo, un'opera letteraria complessa che comprende le origini della famiglia di Oz, la storia della sua infanzia e giovinezza prima a Gerusalemme e poi nel kibbutz di Hulda, l'esistenza tragica dei suoi genitori, e una descrizione epica della Gerusalemme di quegli anni, di Tel Aviv che ne è il contrasto, della vita in kibbutz, negli anni trenta, quaranta e cinquanta. La narrazione si muove avanti e indietro nel tempo, scavando in 120 anni di storia familiare una saga di rapporti d'amore e odio verso l'Europa, che vede come protagonisti quattro generazioni di sognatori, studiosi, uomini d'affari falliti e poeti egocentrici, riformatori del mondo, impenitenti donnaioli e pecore nere. Questa vasta galleria di personaggi mette a punto una sorta di "cocktail genetico" da cui nascerà un figlio unico, nutrito di fantasia, che, in un fatale momento di rivelazione avvenuta attraverso un dolore scioccante e atroce, scoprirà di essere un artista, uno scrittore. Amos Oz ci consegna la storia della sua infanzia e dell'adolescenza colma di aspirazioni poetiche, zelo politico e una paura costante di un altro genocidio degli ebrei, questa volta nella stessa Israele, a opera degli arabi, degli inglesi, dell'intero mondo cristiano, dell'intero mondo islamico. Al centro di questo romanzo autobiografico sta il grande tabù di Oz: il suicidio della madre, nel 1952. L'esplorazione dolorosa e coraggiosa di questa tragedia viene condotta con lucidità, nostalgia e rancore, con pietà e travaglio, con schiettezza e un "flusso di coscienza" incredibilmente poetico che, con immediatezza, giunge al cuore del lettore.

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Amos Oz ” Una storia di amore e di tenebra “


Chi erano i fratelli Cervi, ragazzi partigiani uccisi dai fascisti 75 anni fa

I sette fratelli vennero fucilati il 28 dicembre 1943: ecco perché è importante non dimenticare 

di VALERIO VARESI

La famiglia Cervi 
Il 28 dicembre di settantacinque anni fa, in un'alba nebbiosa, al poligono di Reggio Emilia, gli spari dell'esecuzione che uccise i sette fratelli Cervi più l'ex repubblichino convertito all'antifascismo Quarto Camurri, segnarono l'esordio stragista della neonata Repubblica di Salò, regime fantoccio al servizio della Germania nazista.

Furono per prime le stesse gerarchie repubblichine a rendersi conto dell'abominevole gesto preoccupate di aver rivelato il volto truce del fascismo morente. Ma è forse la paura di una Resistenza palese e organizzata come quella dei Cervi a indurre all'eliminazione di un pericolo che nelle campagne della Bassa tra Campegine e Gattatico era diventato minaccioso.

I Cervi, famiglia di solide basi cattoliche (il papà Alcide fu iscritto al partito popolare e subì l'influenza di Camillo Prampolini nelle campagne emiliane), era antifascista fin dagli anni '30, quelli del massimo consenso al Mussolini trionfante dell'impresa coloniale. Il 25 luglio del '43, alla caduta del Duce, offrirono la pastasciutta a tutto il paese e dopo l'armistizio dell'otto settembre, presero le armi cominciando a organizzare la Resistenza tra l'Appennino e la pianura dove si stavano formando i primi gruppi "Gap" (Gruppi D'Azione Patriottica) con modalità di guerriglia e spionaggio.

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La pastasciutta della memoria
"Il nostro omaggio ai fratelli Cervi"

giovedì 27 dicembre 2018

Le prose meno note di Alda Merini: “Il ladro Giuseppe”. Racconti degli anni Sessanta.

Durante il periodo dei ricoveri ospedalieri, Alda Merini continuò a scrivere, senza pubblicare per circa un ventennio, una grandissima quantità di poesie, pensieri, lettere e prose. In particolare, spiccano queste ultime, tra cui alcuni racconti, composti intorno al 1962, editi da Scheiwiller a Milano sul finire degli anni Novanta: si tratta della raccolta Il ladro Giuseppe (1999).

Il periodo in cui furono composte queste narrazioni brevi, ma molto pregnanti, sia per quanto riguarda gli aspetti formali, sia sul versante dei contenuti, rappresentò per Alda una lunga catena di cocenti delusioni: le case editrici rifiutavano le sue opere e questo aggravava il suo senso di sofferenza esistenziale.

Tuttavia, le esperienze drammatiche legate all’internamento e al peso dello stigma sociale che ne derivava, non impedirono alla poetessa di tracciare nelle proprie prose interessantissimi e lucidi spaccati di vita quotidiana.

Nei racconti di Alda, ambientati nella Milano dei Navigli, dei caffè di periferia e dei quartieri popolari, composti in uno stile rapido ed essenziale, dalle trame semplici e dalla narrazione fluida, emergono eroi della strada, senzatetto e mendicanti disprezzati dai bempensanti, ma amati dai bambini e da chi, come i piccoli della parabola evangelica, ha il cuore puro.

Così, il povero Stringa diviene maestro di vita e di poesia, una poesia che non è sterile erudizione formale, ma è sostanziale amore per il mondo e per l’umanità, senza barriere.

“Un tipo ameno e pazzerellone può ben rappresentare un’epoca della nostra vita ed insegnarci qualcosa di veramente bello e profondo”: Alda ne traccia il ritratto con parole generose, colme di rispetto, dal grande valore educativo ancora oggi pienamente valido per le nuove generazioni.

Analogamente, un altro dimenticato dalla società viene dipinto con toni poetici e guardato con gli occhi della misericordia, quella benevolenza autentica che non si erge mai a giudizio, ma è comprensione dell’umana fragilità: è il ladro Giuseppe, “che aveva un cuor d’oro e una mano amichevole e pronta venata di belle e sane intenzioni”.

Un personaggio a tutto tondo, che vive di emozioni ed emozioni sa donare a piene mani: compie furti e piange; ha per amica una prostituta e ama i libri.

In quest’uomo che aveva, dice la poetessa, come ideale “il mondo intero”, Alda s’identifica, non per giustificare il furto, ovviamente, ma per cogliere, come una gazza, il meglio che la vita può dare: piccole gioie quotidiane di amicizia e condivisione, anche nell’abisso del dolore e dell’isolamento, quali gemme di speranza e redenzione: “credo anch’io nei gioielli ma nessuno me li regala, perché anch’io sono ladra di tutto, adesso, io che adesso sono poeta”.

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martedì 25 dicembre 2018

Ho visto Nina volare


Mastica e sputa
da una parte il miele
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mastica e sputa
dall’altra la cera
mastica e sputa
prima che venga neve
luce luce lontana
più bassa delle stelle
quale sarà la mano
che ti accende e ti spegne
ho visto Nina volare
tra le corde dell’altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
e se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall’altra la cera
mastica e sputa
prima che faccia neve
stanotte è venuta l’ombra
l’ombra che mi fa il verso
le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso
e se lo sa mio padre
mi metterò in cammino
se mio padre lo sa
mi imbarcherò lontano
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall’altra la cera
mastica e sputa
prima che metta neve
ho visto Nina volare
tra le corde dell’altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
luce luce lontana
che si accende e si spegne
quale sarà la mano
che illumina le stelle
mastica e sputa
prima che venga neve
Fabrizio De Andrè - Anime Salve 1996

lunedì 24 dicembre 2018

Il buio di una madre

Avevo un'intera famiglia calabrese, attorno a me: avevo partorito da quattordici ore, il bambino stava benissimo ed ero circondata da grandi madri che non desideravano altro che prodigarsi, con tutti i mezzi pratici e magici a loro disposizione. Oltre al personale della clinica, al chirurgo del cesareo famoso perché con la sua "tecnica dolce" metteva al massimo tre punti (io ne ebbi cinque, e lui venne a scusarsi), al direttore che era stato compagno d'università di mia mamma ed era passato più volte a controllare che tutto andasse bene. Tutto infatti andava bene tranne una cosa: io.
L'attesa, che era stata tutto sommato gioiosa e senza ombre, s'era sciolta in una sensazione di inadeguatezza, di paura, di scacco. Di persecuzione – dopo anni, ho ancora disagio a scrivere questa parola, che allora non osavo nemmeno formulare dentro di me, perché metteva in discussione, in un colpo solo, qualunque ruolo, qualunque affetto, qualunque "normalità".
Sì, avevo giurato che non sarei stata come le grandi madri meravigliose ma spaventose. Avevo giurato che sarei stata una mamma illuminista, forse pure svedese, senza timori sciocchi, senza obblighi di golfino, senza misurazioni forsennate dei parametri, senza paure fasulle. Avevo giurato che tutta quella spinta vitale che avevo sentito incontrovertibilmente dentro di me per quegli otto mesi e mezzo sarebbe bastata per anni, per tutti e due, anzi tre: il papà non doveva restare fuori dall'equazione amorosa, dalla stagione dell'attaccamento.
E invece.
Invece sentivo il pianto del bambino come un'accusa, il mio poco latte, l'improvvisa avarizia del mio corpo come una condanna, i postumi del cesareo come un'ingiustizia, il drammatico calo del ferro, per cui anche camminare mi dava le vertigini, come una punizione di qualcuno che conosceva bene il mio cuore colmo di spavento e non di gioia. Non dormivo abbastanza, non mangiavo abbastanza, e tutto il mondo di cure e attenzioni che pure mi circondava mi faceva l'effetto opposto.

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sabato 22 dicembre 2018

Un commerciante...

Un commerciante aveva appeso un cartello sulla sua porta, “cuccioli di cane in vendita”.
Questo messaggio attraeva i bambini. Ben presto un ragazzino apparve e gli chiese: “A quanto li vendi i cuccioli?” Il proprietario rispose “tra 30 e 50 euro.” Il ragazzino mise la mano in tasca e tirò fuori qualche moneta. “Ho solo 2,37 €, posso vederli?”
Il proprietario sorrise e fischiò. Dalla cuccia apparve la sua cagna di nome Lady seguita dai suoi cinque piccoli cuccioli. Uno di loro era solo e molto indietro rispetto agli altri.
Immediatamente il ragazzo fu colpito da questo cagnolino che zoppicava vistosamente. Egli chiese all’uomo “cosa ha quel cane?”L’uomo spiegò che quando nacque il veterinario riscontrò che aveva un’articolazione rotta e che quindi avrebbe zoppicato per il resto della sua vita. Il ragazzino, molto eccitato, replicò, “è lui il cagnolino che voglio comprare!” L’uomo rispose: ” Tu non puoi volerlo comprare… lui non potrà mai nè correre nè saltellare, ma se proprio lo vuoi te lo regalerò!” Di rimando il bambino: “Io non voglio che tu me lo regali perchè lui ha lo stesso valore degli altri ed io voglio pagare per lui lo stesso prezzo. Adesso ti do 2,37 € e poi 50 centesimi al mese finché non te l’ho pagato tutto.”

Il ragazzo si chinò e tirò su la gamba dei pantaloni, scoprendo un arto steccato con una bacchetta di metallo di spessore. Alzò lo sguardo verso l’uomo e disse: “beh, non posso correre così bene neanche io e il cagnolino ha bisogno di qualcuno che lo capisce.” L’uomo si morse il labbro inferiore. I suoi occhi si riempirono di lacrime, sorrise e disse:
“Figlio mio, spero e prego che ognuno di questi piccoli cuccioli avranno un proprietario come te.”

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venerdì 21 dicembre 2018

È morto Andrea Pinketts, l’ultimo grande scrittore “scapigliato”

Con Andrea G. Pinketts, scomparso oggi a Milano (dove era nato il 12 agosto 1961), perdiamo l’ultimo grande scrittore “scapigliato”. Del resto - lo ricordiamo a titolo di curiosità - il suo vero cognome (all'anagrafe era Andrea Giovanni Pinchetti) era proprio quello di un poeta della Scapigliatura storica, il comasco Giulio Pinchetti (morto suicida a 26 anni, l’8 giugno 1870, in seguito a due colpi d’arma da fuoco esplosi contro se stesso).
Capitava spesso di incontrare Pinketts in qualche bar sui Navigli, con l'immancabile bicchiere di whisky in una mano e l'altrettanto immancabile sigaro cubano nell'altra. Come il vecchio Giuseppe Rovani nell'Ottocento, Pinketts aveva fatto, ai giorni nostri, della tavola d'osteria (o, se si preferisce, di un moderno pub) la sua cattedra d'elezione, da cui incantava i lettori e soprattutto le lettrici (lui era sensibile al loro fascino, e spesso loro al suo).
La letteratura era una passione che incarnava nella vita, insieme scrittore e personaggio che ha assunto la dissacrazione come propria bandiera. Pinketts è stato, negli anni Novanta, uno dei vessilliferi del fenomeno degli scrittori pulp o “cannibali”, essendo presente nell'incunabolo di quel movimento letterario, l'antologia Gioventù cannibale (pubblicata da Einaudi nel 1996).
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martedì 18 dicembre 2018

Vi è un incanto...

“Capanne di Marcarolo (AL) Foto 2017”

Vi è un incanto nei boschi senza sentiero.
Vi è un estasi sulla spiaggia solitaria.
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
in riva alle acque del mare profondo,
e vi è un armonia nel frangersi delle onde.

Non amo meno gli uomini, ma più la natura
e in questi miei colloqui con lei io mi libero
da tutto quello che sono e da quello che ero prima,
per confondermi con l’universo
e sento ciò che non so esprimere
e che pure non so del tutto nascondere.


Lord Byron


sabato 15 dicembre 2018

La Stazione

di Robert J. Hastings

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Nascosta da qualche parte nel vostro inconscio vi è una visione idilliaca.
Ci vediamo in un lungo viaggio su tutto il continente.
Viaggiamo in treno.
Fuori del finestrino ammiriamo il passaggio a livello, bestiame al pascolo su una collina lontana, fumo che fuoriesce da una centrale termica, file su file di grano e di mais, pianure e valli, montagne e dolci colline, profili di città e ville nei paesini. Ma dominante nella nostra mente è la destinazione finale.
In un certo giorno a una certa ora entreremo nella stazione.
Ci saranno bande musicali e sventolio di bandiere.
Una volta arrivati lì, tanti sogni meravigliosi si avvereranno e i pezzi della nostra vita si completeranno a vicenda come un rompicapo portato a termine. Con quale irrequietezza percorriamo i corridoi, maledicendo i minuti d’ozio, aspettando, aspettando, aspettando la stazione.
“Quando arriveremo in stazione, sarà fatta!” gridiamo.
“Quando avrò diciotto anni.”
“Quando mi comprerò una Mercedes Benz nuova!”
“Quando l’ultimo figlio avrà terminato l’Università.”
“Quando avrò finito di pagare il mutuo!”
“Quando avrò la promozione.”
“Quando raggiungerò l’età della pensione, vivrò felice e contento!”
Prima o poi dobbiamo renderci conto che non vi è nessuna stazione, nessun luogo a cui arrivare una volta per tutte.
La vera gioia della vita è il viaggio. La stazione è soltanto un sogno.
Ci distanzia sempre.
“Assapora l’attimo fuggente.”
Non sono i fardelli di oggi a fare impazzire gli uomini.
Sono i rimpianti di ieri e le paure di domani.
Rimpianti e paure sono ladri che ci derubano dell’oggi.
Allora smettete di percorrere i corridoi e di contare i chilometri.
Invece scalate più montagne, mangiate più gelato, camminate più spesso a piedi nudi, nuotate in più fiumi, ammirate più tramonti, ridete di più, piangete di meno.
La vita deve essere vissuta a mano a mano che si procede.
La stazione arriverà fin troppo presto.”

mercoledì 12 dicembre 2018

Chiedimi perchè vado in montagna...

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Chiedimi perché vado in montagna. Chiedimi perché, quando il resto mi sta stretto, l’unica via è il sentiero.
Chiedimelo... Perché?
Perché in montagna non puoi sprecare fiato per parole inutili. Lo devi conservare per arrivare in cima, e il resto è silenzio o parole gentili.
Perché l’unico peso è lo zaino. Non c’è peso per il cuore.
Perché tutti, se lo desiderano, possono arrivare in cima. Solo un passo dietro l’altro.
Perché incroci persone che trovano ancora un momento per salutarti.
Perché non ci sono orpelli: ci sei tu e c’è il tuo corpo, che devi custodire e curare, se vuoi avere le forze. C’è il cielo con i suoi umori.
Non si scherza con la pioggia, il vento, la neve o la notte.
Devi fare molta attenzione, e tornare a quello stadio primitivo in cui la natura e i suoi movimenti erano parte della tua vita, parte integrante del tuo quotidiano.
Non puoi snobbare la natura, in montagna: ti tira per la manica, ti chiede di guardarla, di studiarla, di esserle presente.
In montagna puoi e devi essere presente a te stesso, senza distrazioni.
Forse è per questo che, sopra tante vette, telefonini e internet funzionano a singhiozzo… è la natura che ti dice: “Lascia stare, lascia stare il superfluo. Stai con gli amici. Stai con gli animali. Stai con te stesso. Non ti serve nient’altro”.


Anonimo

sabato 8 dicembre 2018

Rose di Natale

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Era arrivato dicembre e tutti i bambini del mondo aspettavano quello che per loro era il giorno più bello dell’anno: il Natale.
Nel piccolo paese di Serravalle, ai piedi delle colline e accarezzato dalle acque del torrente Scrivia, viveva una bambina molto intelligente simpatica che si chiamava Angela.
Il nome le calzava a pennello perché possedeva una grandissima dote: sapeva entrare nel cuore delle persone e regalava il suo sorriso a chi era triste.
Quell’anno, avrebbe voluto fare un regalo a tutti quelli che per quella importante festa erano soli e percepivano l’atmosfera natalizia con sentimenti contrastanti perché la gioia degli altri li rendeva malinconici. Non che fossero invidiosi, per carità, ma sapevano che per loro era diverso.
Molti di questi erano anziani, altri avevano perso i loro affetti più cari e restava solo il ricordo di chi ormai non c’era più. Alcuni erano diventati poveri perché avevano perso il lavoro e a causa della loro età non riuscivano a trovarne un altro, altri il lavoro non lo avevano ancora trovato anche se erano giovani e in gamba.
Il mondo stava andando all’indietro, il progresso aveva generato pochi ricchi e tantissimi disperati.
Angela era ancora una bambina ma si rendeva conto di ciò che stava succedendo intorno a lei e ne soffriva.
Avrebbe voluto fare qualcosa di concreto e ci pensava giorno e notte; voleva trovare il modo di alleviare, almeno per un giorno così speciale, i grattacapi del prossimo.
Non sapeva davvero come fare e un giorno, per trovare ispirazione, andò a fare una passeggiata nel grande prato vicino alla chiesetta di Montei.
Camminò lungo le vigne, entrò nel bosco di castagni e si accorse che tra la neve caduta copiosamente i giorni precedenti, sbucavano bellissimi fiori bianchi.
Non li aveva mai notati prima ed era strano che i fiori sbocciassero in inverno.
Li raccolse e ne fece dei grandi mazzi. Scese in paese di corsa e chiamò a raccolta i suoi amici, poi tutti insieme si incamminarono verso il pensionato, dove vivevano molti anziani rimasti soli.
Insieme ai vecchietti cantarono le canzoni più belle del Natale e addobbarono le stanze con i fiori appena raccolti: le rose di Natale.
Le loro voci arrivarono in piazza del mercato, a porta Genova poi a Ca’ del sole e nel quartiere Lastrico. Furono uditi anche a Stazzano e all’Outlet.
Una moltitudine di persone fu guidata all’origine di quella melodia. E tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi si misero a cantare.
Il messaggio arrivò forte e chiaro: se al freddo dell’inverno la natura regalava fiori così meravigliosi, non bisognava perdere il sorriso e la speranza.
E grazie ad Angela e alle rose di Natale, lo spirito e il valore del giorno più magico dell’anno entrò nel cuore di ogni persona.


martedì 4 dicembre 2018

Sedia a ruote

Poesia dedicata ai disabili
"è meglio avere un corpo senza corpo, che una testa senza testa"


Sono immobile eppure mi muovo,
corro, volo, salto,
m’innalzo con la mia fantasia
e  raggiungo vette altissime.

Da lì vedo la mia voglia di rivincite,
l’autenticità di essere me stesso,
lontano da quel che sono
ma vicino alla mia pura sensibilità.

A volte vedo gli altri
correre da fermi con i pensieri inariditi,
che fingono di capirmi
con il loro falso compianto
di chi non vola più o, peggio, non hai mai volato.

Dalla mia sedia a ruote spuntano ali,
faccio capriole nella mente,
mi piaccio e capisco:
che è meglio avere un corpo senza corpo
che una testa senza testa.




Ermanno Eandi


I dieci versi dalle canzoni di Battiato da appuntarsi e non dimenticare

Il cantautore, morto ieri nella sua residenza di Milo, era nato a Jonia il 23 marzo del 1945. Ha spaziato tra una grande quantità di generi,...