domenica 25 febbraio 2018

La finestra del pittore

Dipingeva da solo. Non poteva esserci gente in casa attorno. Dipingeva la domenica pomeriggio e la sera dopo cena. Tutte le sere della settimana per tutti gli anni a venire. 
Voleva essere solo. Non poteva esserci rumore intorno. Si metteva all'opera subito dopo aver portato i bambini a dormire. 

Li accompagnava in camera da letto, gli faceva recitare le preghiere della sera, aspettava che il più piccolo si mettesse sotto le coperte e che gli dicesse di spegnere la luce e poi tornava in soggiorno che adesso diventava il suo atelier. 
Cercava una luce buona e poi dava spazio ai colori. Ai suoi pennelli, alle sue spatole, alle sue tele e alle sue tavolozze.  

Dipingeva come Hemingway scriveva. Cercava di essere oggettivo con la sua arte e dipingeva quello che vedeva anche se le facce e i volti dei suoi personaggi potevano essere chiunque. 

Per lui dovevano soltanto suscitare emozioni. 

Le case e le montagne erano quelle familiari, precise e immortali e segnate dal tempo. Come erano familiari e immortali nella loro vividezza gli animali che ogni tanto finivano nelle sue tele e nei suoi disegni. 

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martedì 20 febbraio 2018

PERCHE' QUESTA MONTAGNA VIVA

(Scritto per il Secolo XIX di oggi)

Reneuzzi - Paesi fantasma, Alta Val Borbera (AL)


Lo spopolamento dei monti, con i borghi più ascosi destinati a diventare ruderi popolati da ombre come Reneuzzi, in Val Borbera, e Carsegli e Monte Bano, in Valle Scrivia; decenni di progetti di promozione e valorizzazione della montagna e della sua agricoltura - marginale per l’economia dei grandi numeri e per il PIL - che quando va bene hanno promosso e valorizzato chi li ha scritti e incoraggiati non certo chi sui monti ci vive; il cosiddetto ritorno alla terra oscillante fra idealizzazione e nostalgia e la difficoltà quotidiana di lavorare malgrado la miopia di astratte norme fiscali e igienico-sanitarie e talvolta quella di chi, sonnambulo ma ligio come sanno esserlo i funzionari, è incaricato di applicarle; i contadini, sempre mezzadri: un tempo di un padrone che, per sopravvivere, dovevano tirare a far fesso (e lui a lasciar fare per non vederli scomparire), oggi dello Stato e delle sue emanazioni (e anche oggi bisogna chiudere un occhio se non si vuole vedere scomparire chi lavora e non può stare dietro a imposte, carte e altre burocrazie)… ecco, non so più da quanti anni leggo e sento parlare di questi argomenti, non di rado in incontri inutili, dopo i quali non è successo nulla: inutili le lamentele, inutile l’indignazione, inutile la nostalgia per la fine di un mondo, quello contadino dei nostri monti, che non vagheggia solo chi l’ha conosciuto per davvero. Da qualche parte ci sono segni di ritorno, sì, ma nelle valli più interne lo spopolamento continua: così il selvatico continua a cannibalizzare il domestico, la terra scivola, scende, e poi quando piove a valle ci si fa il segno della croce.

Ma cosa ci vuole perché la nostra montagna e i suoi borghi vivano?
Per esempio, serve che ci si viva. Non da villeggianti o residenti sulla carta, ma da abitanti: sì, a volte il lavoro non è vicino, ma oggi non è più strano essere un po’ pendolari; c’è chi arriva al lavoro in un’ora, imbottigliato nel traffico, e chi ci arriva da un paese dell’entroterra: la differenza non è così rilevante. Solo se nei paesi la gente ricomincerà a viverci, ci sarà più forza per chiedere che la strada d’inverno sia mantenuta pulita, e che dove ci sono bambini si riaprano le scuole, e avrà senso chiedere di restituire gli uffici postali e i servizi sanitari e le linee delle corriere, e forse ci potrà essere interesse ad aprire qualche bottega, oppure a non chiuderla. Servono amministratori che lo facciano per servizio, solo per servizio, a devoti al bene comune, solo al bene comune. E serve un’apertura di credito verso chi viene da fuori e porta energie e idee: la paura claustrofobica per i foresti e la miopia del localismo sono segno certo di una morte imminente, prima di tutto morale. Ma serve pure che si torni a fare produrre la terra e il bosco, per tanto o per poco, per lavoro o per passatempo, per fare commercio o anche solo per l’orto di famiglia. E serve che i ristoratori e i negozi preparino e vendano i prodotti del posto, la carne degli allevamenti che tengono in vita i pascoli, le acque minerali più vicine… E quante altre cose ancora servirebbero. 


La villeggiatura non è più di moda; le escursioni di camminatori, naturalisti, buongustai, visitatori sono una cosa buona (a piccole dosi); ma la nostra montagna, le nostre valli, il nostro entroterra con i suoi borghi può vivere o tornare a vivere solo se c’è chi ci vive o ci torna a vivere, in estate come in inverno, anche potendoci svolgere attività produttive e commerciali al riparo (come una riserva indiana, se necessario!) da un sistema di norme che a volte pare votato a ostacolare il lavoro sulla terra (e intorno alla terra) e il ritorno delle comunità.

Massimo Angelini

sabato 17 febbraio 2018

Se fosse vero – José Hierro


Se fosse vero che due anime camminano congiunte, 
senza che i corpi si conoscano; se fosse vero
che si son toccate da sempre,
che bevvero la stessa luce,
che lo stesso destino le culla;
se fosse vero che son foglie
dello stesso arbusto, eterno e verde;
se fosse vero che il loro trionfo
si compie il dì che avranno
gli occhi dell’anima gemella
fissi nella loro carne flagrante;
se tutto ciò fosse vero,
come mai quel giorno di settembre
non ti cercai, chiamai, portai;
come mai ignoravo che esistessi,
come mai non trattenni la stella
che t’arrossava la fronte;
come mai potevo  io cantare
sotto la fiamma del ponente;
come mai poteva non esistere
il tuo passato di ora, dolendomi.
Come ha potuto essere. E come
non lo impedii, con unghie, denti,
cuore…
Se fosse vero
che due anime, senza che i corpi
si conoscano, vibrano, vanno congiunte
verso lo stesso nido caldo,
come quel giorno di luce profonda,
come quel giorno nella strada
dritta contro il ponente;
dorata e grave di settembre;
come quel giorno non sentii
che mi trafiggeva la morte.
 

José Hierro
(Traduzione di Oreste Macrí)

venerdì 16 febbraio 2018

“Non si ama con il cuore”


Non si ama con il cuore, si ama con l’anima che si impregna di storia,
non si ama se non si soffre e non si ama se non si ha paura di perdere.
Ma quando ami vivi, forse male, forse bene, ma vivi.
Allora muori quando smetti di amare, scompari quando non sei più amato.
Se l’amore ti ferisce, cura le tue cicatrici e credici, sei vivo.
Perché vivi per chi ami e per chi ti ama.


Alda Merini

I dieci versi dalle canzoni di Battiato da appuntarsi e non dimenticare

Il cantautore, morto ieri nella sua residenza di Milo, era nato a Jonia il 23 marzo del 1945. Ha spaziato tra una grande quantità di generi,...