Un poliziotto cerca tracce dopo l'assassinio di Ana Maria Stativa |
Mi scrive il cliente di una donna che si prostituiva, uccisa la settimana scorsa a Bologna. Via Varthema, due passi dai giardini Margherita. Meno di quarant’anni lui, meno di trent’anni lei. Un uomo e una donna giovani, entrambi sposati, figli piccoli. Mi scrive, quest’uomo e racconta in modo semplice e crudo di quando la frequentava: di come lui si togliesse la fede, prima, e lei sorridesse guardando quel gesto. Delle parole corse tra loro, del dolore per la sua morte.
Si chiamava Ana Maria Stativa, aveva quasi trent’anni. La settimana scorsa nelle pagine di cronaca la confessione dell’assassino, un cliente abituale: Francesco Serra, 55 anni, di Vergato, professione meccanico. Solo, separato dalla moglie. Lei gli aveva detto che sarebbe tornata a casa per Pasqua, in Romania, aveva una madre anziana e due figli piccoli. Lui temeva che non sarebbe tornata in Italia e che non l’avrebbe più vista, ha spiegato durante l’interrogatorio. Per questo. Non riusciva a convincerla a restare. Così ha preso una pistola di quelle con cui si uccidono i maiali, una sparachiodi, è andato all’appartamento, è entrato, l’ha uccisa con un colpo alla nuca. Sei minuti in tutto, raccontano le telecamere del condominio. Se non resti con me ti ammazzo, la spiegazione d’abitudine. Ora ecco cosa scrive l’uomo, un altro cliente, che l’ha incontrata alcune settimane prima.
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