di Simonetta Bisicchia
Avevo atteso l’estate come si aspetta Natale da bambini.
L’estate e la sua luce, la meraviglia del sole, la voglia di andare via, di cambiare aria, di viaggiare.
E l’estate era arrivata, torrida e puntuale.
Da
ogni finestra della città si affacciavano volti accaldati in attesa di
una partenza per le spiagge e, la sera, le vie del centro erano un
brulicare di corpi ringiovaniti dalla promessa di una vacanza. Di lì a
poco le vie, le case, gli uffici, avrebbero cominciato a svuotarsi e le
autostrade sarebbero diventate tappeti di automobili fin troppo veloci.
Stanca
e annoiata com’ero dal freddo e dagli oneri invernali, non mi ero
nemmeno resa conto che la vacanza che avevo tanto atteso vacillava sotto
il peso di una serie di problemi organizzativi che alla fine
risultarono troppi, e così, senza che avessi nemmeno il tempo di
reagire, mi ritrovai senza un programma e senza prospettive.
Fanculo, mai che ci si possa fidare di qualcuno.
I
compagni di viaggio vanno scelti con cura, ed ero cascata una volta di
troppo in una rete di entusiasmi incapaci di dare una ragionevole
conferma di loro stessi.
Ci ero cascata, ed ero sola. Un’altra volta.
Intanto
il calore dei muri delle case saliva, non c’era ora del giorno in cui
non si avesse il sole addosso, appiccicato alla pelle, da un sudore
invadente.
C’era da scegliere. Si poteva restare a letto investiti
dal getto d’aria del ventilatore, annegare in una vasca da bagno, o
fingere di gradire l’aria condizionata di un centro commerciale, dove,
d’estate, i gesti automatici e inespressivi delle cassiere risultano
ancora più terrificanti che d’inverno.
D’inverno produrre,
commerciare, vendere, comprare, lavorare ha un senso; all’unisono e, con
un’esemplare senso di abnegazione al dovere, lo facciamo tutti, in
maniera ordinata e costante, senza protestare e senza eccessivi moti di
ribellione.
Ma, d’estate, il suono di un lettore di un codice a barre
che fa comparire su un display il prezzo di un surgelato echeggia come
un grido sinistro e isolato, nell’aria appesantita dal caldo. D’estate
la vita va in stand-by, è tutto sospeso fino a nuovo ordine, tutto
interrotto. E nessuno dovrebbe lavorare, né pensare, né produrre, né
avere memoria o ricordi.
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