venerdì 9 marzo 2018

LA BANDA LA GALA


di Luisa Sangiuolo

da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975

La montagna del Taburno, solenne ed austera per il colore bianco-grigio della pietra calcarea, al tempo di Carlo III di Borbone (1), era diventata nelle ampie spianate tra i 1000 e 1100 metri altimetrici, deposito estivo dei cavalli stalloni dell'esercito. All'improvviso, tra la fine del 1860 e l'inizio del 1861 se ne scopre l'importanza strategica, compresa com'è nella catena degli Appennini, per i cui i valichi i briganti possono scorrazzare attraverso la Campania, le Puglie e la Basilicata, nel tentativo di riconquistare Napoli ed impedire all'esercito piemontese le comunicazioni tra il Tirreno e l'Adriatico. La fitta abetaia e il terreno accidentato, ben si prestano alla guerriglia. Cipriano La Gala, qui fissa il suo quartiere generale, di qui manovra ben trecento uomini organizzandoli in commandi di non più di dieci persone, in continue sortite contro i territori di Cancello, Nola, Caserta, Limatola, Durazzano, Arpaia, Sant'Agata dei Goti, Cervinara. Obiettivo di Cipnano è la restaurazione di Francesco II sul trono di Napoli; arruola gli uomini pagandoli con il danaro che il comitato centrale borbonico gli invia tramite messi fidati; quando però le sovvenzioni non arrivano più, è costretto a provvedere da sè. Ricorre al sistema delle grassazioni e il 23 maggio 1861 estorce denaro in Avella (2) a Michele Abate, Francesco Biancardi, Aniello d'Avanzo e Martino de Lucia. Nello stesso giorno, sempre in Avella, sequestra un bambino di undici anni Vincenzo d'Avanzo; chiede e ottiene dal padre un riscatto in ragione di L.204, provviste di pasta, sale e tabacco. Il fanciullo si mostra docile; in pochi giorni di prigionia conquista la fiducia dei carcerieri, quindi col pretesto di raccogliere per loro fragole nel bosco, se la dà a gambe. Al processo testimonierà a favore di Cipriano, illustrando la buona indole del brigante, ma il La Gala negherà di averlo mai visto. Un mese dopo, sull'imbrunire assalta 1'Ufficio del Ricevitore della Ferrovia di Cancello, portando via dalla cassa 314 lire e 50 centesimi. Indi procede ad una spedizione punitiva: l'uccisione del caffettiere Ferrara che ha fatto la spia contro di lui. Il brigante Antonio Pipolo lo fa legare ed incita gli altri a sparargli addosso. Dopo qualche esitazione, quattro colpi partono. Il Ferrara rotola su se stesso, mentre riceve il colpo di grazia all'orecchio. Il 27 luglio l'assalto alla corriera sulla strada di Cimitile (3), si conclude con un tragico bilancio: muoiono Bartolo Cuminelli e Pietro Brocchieri carabinieri di scorta; è ferito il postiglione, derubato il passeggero genovese Preve. Uno dei luogotenenti più fidi, Crescenzo Gravina, il 31 di agosto, in circostanze non chiare, uccide il bersagliere Federico Pellegrino di Pisa. Allo stesso periodo, risale il saccheggio subito dai fratelli Giovanni e Michele Mascolo di Sasso di Roccarainola (4). Dopo aver subito furto di granaglie ed oggetti vari, Orsola Piscitelli, moglie di Michele, è portata via in montagna per fini turpi e rilasciata solo a seguito delle pressanti richieste di persone dabbene che intercedono per lei. Il Mascolo accusato di meditare la vendetta e di essere disposto a denunziare 14 briganti alle autorità, preso con la forza, è chiamato a discolparsi dinanzi al tribunale dei briganti. Come in un regolare processo, si odono i testimoni a discarico, i testi di accusa, la requisitoria del Pubblico Ministero Piscitelli, cognato dell'accusato. Le imputazioni sono talmente inverosimili che lo stesso Cipriano conviene trattarsi di testimonianze calunniose non rispondenti al vero; i giurati dopo aver votato l'assoluzione più completa, si associano al Presidente nella deplorazione dei rancori personali del Pescitelli verso il congiunto e decidono di indennizzare il Mascolo per i danni subiti, anche e soprattutto in riconoscimento delle munizioni e vettovaglie da lui fornite alla Comitiva. La banda, forte di 85 uomini, il 2 settembre si dirige al villaggio di Paolini di Sant'Agata dei Goti, verso la casa dei fratelli sacerdoti don Giacomo e don Pasquale Viscusi. La nipote Domenica cerca di opporsi alla cattura degli zii, chiede pietà per il vecchio don Giacomo, ma Cipriano infastidito dalle sollecitazioni, fa per trafiggerla con lo stile. Nel trambusto generale, il vecchio prete, sentite le grida della nipote, preferisce consegnarsi ai briganti, dicendosi disposto a pagare il riscatto. Le prime richieste sono avanzate in ragione di 12.000 ducati. Impossibile pagare una somma simile; i contraenti si accordano per 6.000 ducati; i due fratelli sono portati in montagna e dopo una settimana, Pasquale è rimandato a casa per sollecitare il pagamento dell'intera somma. Frattanto un altro prete: Messandro Ruotolo di 30 anni sequestrato in contrada Acquavitara sulla strada tra Arpaia e Arienzo, viene a fare compagnia al Viscusi. Vorrebbe confortarlo, parlare con lui, ma ne è dissuaso dal brigante Antonio Sperone. Giona impaziente, non vuole aspettare oltre, tronca un orecchio al Viscusi; Ruotolo testimone oculare, vede Pasquale Papa, fratello di Domenico addentare l'orecchio e con i filacci di carne tra i denti, lo sente esclamare "capperi che bel sapore hanno gli orecchi dei preti!" Giona infastidito, glielo toglie di bocca; non è il caso di mangiarlo, lo si deve spedire alla famiglia per averne quattrini (5). Ci si domanderà perchè tanta ferocia verso un sacerdote. Gli è che i briganti detestavano i preti, le cui competenze si estendevano per legge fino a stilare il certificato di buona condotta dei parrocchiani. Essi erano tenuti ad individuare quanti si allontanasse di casa per imprese di brigantaggio politico e a trasmettere le loro relazioni al Sindaco, al Comandante dei Carabinieri, al Comandante della Guardia Nazionale, al Delegato di Polizia. In particolare il giovane Domenico Papa da Santa Maria a Vico, era stato costretto a farsi brigante a causa del sacerdote Giuseppe Mazzone che aveva avuto la poca accortezza di parlare male di lui e del fratello Pasquale con le donne più pettegole del paese: Carmela Nuzzo e Giuseppa Campagnuolo. Aveva loro confidato che quei ladri dei figli di Tep-Tep avevano avuto quello che. si meritavano ed erano stati arrestati nella cupa di Pizzoli. Le donne menarono un gran chiasso per il villaggio e forse riflettendo che il parroco aveva l'abitudine di anticipare un po' gli eventi, avevano voluto fare un sopralluogo di persona in casa dei Papa, dove trovarono i presunti arrestati, pacificamente raccolti in seno alla famiglia. 

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