di Luisa Sangiuolo
da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975
La montagna del Taburno, solenne ed austera per il colore bianco-grigio della pietra calcarea, al tempo di Carlo III di Borbone (1),
era diventata nelle ampie spianate tra i 1000 e 1100 metri altimetrici,
deposito estivo dei cavalli stalloni dell'esercito. All'improvviso, tra
la fine del 1860 e l'inizio del 1861 se ne scopre l'importanza
strategica, compresa com'è nella catena degli Appennini, per i cui i
valichi i briganti possono scorrazzare attraverso la Campania, le Puglie
e la Basilicata, nel tentativo di riconquistare Napoli ed impedire
all'esercito piemontese le comunicazioni tra il Tirreno e l'Adriatico.
La fitta abetaia e il terreno accidentato, ben si prestano alla
guerriglia. Cipriano La Gala,
qui fissa il suo quartiere generale, di qui manovra ben trecento uomini
organizzandoli in commandi di non più di dieci persone, in continue
sortite contro i territori di Cancello, Nola, Caserta, Limatola,
Durazzano, Arpaia, Sant'Agata dei Goti, Cervinara. Obiettivo di Cipnano è
la restaurazione di Francesco II
sul trono di Napoli; arruola gli uomini pagandoli con il danaro che il
comitato centrale borbonico gli invia tramite messi fidati; quando però
le sovvenzioni non arrivano più, è costretto a provvedere da sè. Ricorre
al sistema delle grassazioni e il 23 maggio 1861 estorce denaro in
Avella (2) a Michele Abate, Francesco Biancardi, Aniello d'Avanzo e Martino de Lucia. Nello stesso giorno, sempre in Avella, sequestra un bambino di undici anni Vincenzo d'Avanzo;
chiede e ottiene dal padre un riscatto in ragione di L.204, provviste
di pasta, sale e tabacco. Il fanciullo si mostra docile; in pochi giorni
di prigionia conquista la fiducia dei carcerieri, quindi col pretesto
di raccogliere per loro fragole nel bosco, se la dà a gambe. Al processo
testimonierà a favore di Cipriano, illustrando la buona indole del
brigante, ma il La Gala negherà di averlo mai visto. Un mese dopo,
sull'imbrunire assalta 1'Ufficio del Ricevitore della Ferrovia di
Cancello, portando via dalla cassa 314 lire e 50 centesimi. Indi procede
ad una spedizione punitiva: l'uccisione del caffettiere Ferrara che ha fatto la spia contro di lui. Il brigante Antonio Pipolo lo fa legare ed incita gli altri a sparargli addosso. Dopo qualche esitazione, quattro colpi partono. Il Ferrara
rotola su se stesso, mentre riceve il colpo di grazia all'orecchio. Il
27 luglio l'assalto alla corriera sulla strada di Cimitile (3), si conclude con un tragico bilancio: muoiono Bartolo Cuminelli e Pietro Brocchieri carabinieri di scorta; è ferito il postiglione, derubato il passeggero genovese Preve. Uno dei luogotenenti più fidi, Crescenzo Gravina, il 31 di agosto, in circostanze non chiare, uccide il bersagliere Federico Pellegrino di Pisa. Allo stesso periodo, risale il saccheggio subito dai fratelli Giovanni e Michele Mascolo di Sasso di Roccarainola (4). Dopo aver subito furto di granaglie ed oggetti vari, Orsola Piscitelli,
moglie di Michele, è portata via in montagna per fini turpi e
rilasciata solo a seguito delle pressanti richieste di persone dabbene
che intercedono per lei. Il Mascolo accusato di meditare la
vendetta e di essere disposto a denunziare 14 briganti alle autorità,
preso con la forza, è chiamato a discolparsi dinanzi al tribunale dei
briganti. Come in un regolare processo, si odono i testimoni a
discarico, i testi di accusa, la requisitoria del Pubblico Ministero Piscitelli,
cognato dell'accusato. Le imputazioni sono talmente inverosimili che lo
stesso Cipriano conviene trattarsi di testimonianze calunniose non
rispondenti al vero; i giurati dopo aver votato l'assoluzione più
completa, si associano al Presidente nella deplorazione dei rancori
personali del Pescitelli verso il congiunto e decidono di indennizzare
il Mascolo per i danni subiti, anche e soprattutto in
riconoscimento delle munizioni e vettovaglie da lui fornite alla
Comitiva. La banda, forte di 85 uomini, il 2 settembre si dirige al
villaggio di Paolini di Sant'Agata dei Goti, verso la casa dei fratelli
sacerdoti don Giacomo e don Pasquale Viscusi. La nipote Domenica
cerca di opporsi alla cattura degli zii, chiede pietà per il vecchio
don Giacomo, ma Cipriano infastidito dalle sollecitazioni, fa per
trafiggerla con lo stile. Nel trambusto generale, il vecchio prete,
sentite le grida della nipote, preferisce consegnarsi ai briganti,
dicendosi disposto a pagare il riscatto. Le prime richieste sono
avanzate in ragione di 12.000 ducati. Impossibile pagare una somma
simile; i contraenti si accordano per 6.000 ducati; i due fratelli sono
portati in montagna e dopo una settimana, Pasquale è rimandato a casa
per sollecitare il pagamento dell'intera somma. Frattanto un altro
prete: Messandro Ruotolo di 30 anni sequestrato in contrada
Acquavitara sulla strada tra Arpaia e Arienzo, viene a fare compagnia al
Viscusi. Vorrebbe confortarlo, parlare con lui, ma ne è dissuaso dal
brigante Antonio Sperone. Giona impaziente, non vuole aspettare oltre, tronca un orecchio al Viscusi; Ruotolo testimone oculare, vede Pasquale Papa,
fratello di Domenico addentare l'orecchio e con i filacci di carne tra i
denti, lo sente esclamare "capperi che bel sapore hanno gli orecchi dei
preti!" Giona infastidito, glielo toglie di bocca; non è il caso di
mangiarlo, lo si deve spedire alla famiglia per averne quattrini (5).
Ci si domanderà perchè tanta ferocia verso un sacerdote. Gli è che i
briganti detestavano i preti, le cui competenze si estendevano per legge
fino a stilare il certificato di buona condotta dei parrocchiani. Essi
erano tenuti ad individuare quanti si allontanasse di casa per imprese
di brigantaggio politico e a trasmettere le loro relazioni al Sindaco,
al Comandante dei Carabinieri, al Comandante della Guardia Nazionale, al
Delegato di Polizia. In particolare il giovane Domenico Papa da Santa Maria a Vico, era stato costretto a farsi brigante a causa del sacerdote Giuseppe Mazzone che aveva avuto la poca accortezza di parlare male di lui e del fratello Pasquale con le donne più pettegole del paese: Carmela Nuzzo e Giuseppa Campagnuolo.
Aveva loro confidato che quei ladri dei figli di Tep-Tep avevano avuto
quello che. si meritavano ed erano stati arrestati nella cupa di
Pizzoli. Le donne menarono un gran chiasso per il villaggio e forse
riflettendo che il parroco aveva l'abitudine di anticipare un po' gli
eventi, avevano voluto fare un sopralluogo di persona in casa dei Papa,
dove trovarono i presunti arrestati, pacificamente raccolti in seno alla
famiglia.
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