Quando il fotografo Angelo Merendino incontra
Jennifer per la prima volta, si innamora di lei. È quello che si dice
un vero colpo di fulmine. Presto decidono di andare a vivere insieme a
Manhattan e, sei mesi più tardi, si sposano proprio a Central Park,
circondati dai familiari e dagli amici. Per cinque mesi, la coppia vive
una favola una vera e propria.
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Fate il vostro blog! Poesie, pensieri e racconti dei miei amici...oppure trovati sul web.
martedì 23 maggio 2017
venerdì 19 maggio 2017
Di balene tristi ed altri incidenti
Partendo dal presupposto che molto probabilmente stiamo assistendo ad una delle tante profezie autoavveranti (così come definite da Merton) , dobbiamo dare atto alle Iene di essere loro stesse -ovviamente senza volontà di dolo- procacciatrici di prede per i cosiddetti “curatori”.
Ho assistito, dalla trasmissione del fatidico servizio, ad un proliferare prima sconosciuto sul social italiano del famoso hashtag letteranumero che dovrebbe indicare la candidatura al gioco (sempre, ripeto, che tale gioco esista davvero).
Non so quanti lo facciano seriamente, non so quanti per curiosità o altro.
Se si prova a chiedere amicizia a qualcuno di costoro la prima domanda che ti arriva in forma privata è la seguente, uguale per tutti : “Ki sei? il mio curatore?”.
In genere, alla risposta negativa segue subito una rimozione dalle amicizie, oppure la convinzione che questa sia una delle prove da superare per essere ammessi. Oppure ancora (e per fortuna) la confessione che si stesse solamente scherzando. In ogni caso, trovo preoccupante sia la leggerezza con la quale una trasmissione abbia acceso la scintilla dello spirito di emulazione e di una vera e propria moda. Trovo sconvolgente che, se si decida di morire, lo si debba fare obbedendo ad un condizionamento altrui. Eroi? Ma questa è solo vigliaccheria. “Morire per delle idee”, predicava De Andrè . Morire per ribellione, per amore, per la libertà. Personalmente ho sempre coccolato la morte (mia, quella di chi amo mi terrorizza), molte volte l’ho presa in considerazione come unico mezzo per sfuggire alla sofferenza del troppo pensare o di situazioni dolorose. Ma soprattutto come idea di potere, di libertà. “Questa volta DECIDO IO. Alla faccia di tutti, divinità presunte comprese” (ah, a questo proposito, evitiamo di tirare in ballo come sempre il Satanismo, che invece è un inno alla vita ed alla realizzazione dell’ Uomo. Chi sostiene il contrario non lo conosce affatto ed è meglio non lo nomini neppure)
Che cazzo di gioventù siete? la gioventù è ribellione per antonomasia. Questo sì che mi spaventa davvero...il non essere neppure in grado di decidere autonomamente se vivere o morire. A questo punto salta fuori il “disgustoso condizionamento”. E mi viene da sorridere, scusate il cinismo. Perchè se tu che hai 17 anni ti lasci condizionare da uno psicopatico di 22 forse sei peggio dello psicopatico... che a suo modo di vedere non ha neppure torto, allora. La manipolazione(a meno che uno non abbia particolari doti) è un meccanismo complesso, una strategia che non si impara dall’oggi al domani . Utilizza principalmente il modus stimolo-risposta -premio oppure risposta-punizione. Richiede isolamento, richiede un legame continuo e quasi amoroso col proprio condizionatore. E questo è solo il primo passo... se non ricordo male ci sono almeno 13 lunghissimi punti da affrontare. A meno che, appunto, non sia tutta una gran bufala e che questi suicidi non siano solo dovuti a noia, alcool, droghe.
Ragazzi, non uccidetevi. Ma se proprio dovete farlo, decidetelo da soli. E possibilmente per una buona causa. Ribellatevi, se la vita non vi piace...rovesciatela. E lasciate in pace le balene, che già hanno un sacco di problemi per loro conto..
In genere, alla risposta negativa segue subito una rimozione dalle amicizie, oppure la convinzione che questa sia una delle prove da superare per essere ammessi. Oppure ancora (e per fortuna) la confessione che si stesse solamente scherzando. In ogni caso, trovo preoccupante sia la leggerezza con la quale una trasmissione abbia acceso la scintilla dello spirito di emulazione e di una vera e propria moda. Trovo sconvolgente che, se si decida di morire, lo si debba fare obbedendo ad un condizionamento altrui. Eroi? Ma questa è solo vigliaccheria. “Morire per delle idee”, predicava De Andrè . Morire per ribellione, per amore, per la libertà. Personalmente ho sempre coccolato la morte (mia, quella di chi amo mi terrorizza), molte volte l’ho presa in considerazione come unico mezzo per sfuggire alla sofferenza del troppo pensare o di situazioni dolorose. Ma soprattutto come idea di potere, di libertà. “Questa volta DECIDO IO. Alla faccia di tutti, divinità presunte comprese” (ah, a questo proposito, evitiamo di tirare in ballo come sempre il Satanismo, che invece è un inno alla vita ed alla realizzazione dell’ Uomo. Chi sostiene il contrario non lo conosce affatto ed è meglio non lo nomini neppure)
Che cazzo di gioventù siete? la gioventù è ribellione per antonomasia. Questo sì che mi spaventa davvero...il non essere neppure in grado di decidere autonomamente se vivere o morire. A questo punto salta fuori il “disgustoso condizionamento”. E mi viene da sorridere, scusate il cinismo. Perchè se tu che hai 17 anni ti lasci condizionare da uno psicopatico di 22 forse sei peggio dello psicopatico... che a suo modo di vedere non ha neppure torto, allora. La manipolazione(a meno che uno non abbia particolari doti) è un meccanismo complesso, una strategia che non si impara dall’oggi al domani . Utilizza principalmente il modus stimolo-risposta -premio oppure risposta-punizione. Richiede isolamento, richiede un legame continuo e quasi amoroso col proprio condizionatore. E questo è solo il primo passo... se non ricordo male ci sono almeno 13 lunghissimi punti da affrontare. A meno che, appunto, non sia tutta una gran bufala e che questi suicidi non siano solo dovuti a noia, alcool, droghe.
Ragazzi, non uccidetevi. Ma se proprio dovete farlo, decidetelo da soli. E possibilmente per una buona causa. Ribellatevi, se la vita non vi piace...rovesciatela. E lasciate in pace le balene, che già hanno un sacco di problemi per loro conto..
come disse qualcuno che di certo conoscete, senza andare a cercare inutilmente filosofi che cadrebbero nel rifiuto a priori, “stay hungry...stay foolish”
giovedì 11 maggio 2017
Fuga dal campo di prigionia per scalare la vetta del Kenya
L’odissea di Benuzzi, alpinista e diplomatico che ricostruì il Paese
Alpinista, prigioniero di guerra, diplomatico e scrittore, Felice
Benuzzi era un protagonista in cerca d’autore. L’ha finalmente trovato
in Rory Steele, autore de «Il cuore e l’abisso. La vita di Felice
Benuzzi». Alla tournée di città italiane, non poteva mancare Torino, giovedì 11 maggio alle 21 al Museo della Montagna,
e non vi poteva essere cornice più indicata del Museo della Montagna.
La scalata di Punta Lenana (4985 metri) in Kenya fu l’avventura
indelebile di Felice Benuzzi. Più di settant’anni dopo, Steele la
riporta alla luce.
Fu amore di libertà o della montagna? Internato in campo di prigionia britannico in Kenya, nel 1943 Felice Benuzzi riesce ad evadere - il sogno di tutti i prigionieri di guerra - per ripresentarvisi 17 giorni dopo. Nel frattempo non ha trovato di meglio che scalare Monte Kenya, la seconda montagna più alta dell’Africa. Chi fa alpinismo serio sa cosa sia quota 5000; può solo immaginare cosa sia arrivarci senza attrezzature, con mezzi, viveri, indumenti ed equipaggiamento di fortuna.
Quando Benuzzi scrisse la storia della fuga, fatta insieme a due compagni di prigionia, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti, l’immancabile humour del traduttore inglese trovò il titolo perfetto «No Picnic on Mount Kenya». Non lo fu certo.
La vita di Felice Benuzzi non si esaurisce nell’avventura keniota. Una volta liberato, egli continuò naturalmente a fare alpinismo, dimostrando che non era stata solo l’ebbrezza dell’evasione dal campo a spingerlo verso la vetta africana. Divenne diplomatico e per circa trent’anni alternò la sua passione per la montagna l’impegno professionale in sedi esigenti, come Berlino Est nel cuore della guerra fredda, e con una ricca attività di scrittore, pubblicista, negoziatore. Una figura a tutto tondo che appartiene alla «grande generazione» che ricostruì l’Italia, e l’Occidente, dopo la tragedia della guerra.
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«Il cuore e l’abisso» è il titolo del libro di Rory Steele. australiano, scrittore e diplomatico (foto Ferrigato) |
Stefano Stefanini
Torino
Fu amore di libertà o della montagna? Internato in campo di prigionia britannico in Kenya, nel 1943 Felice Benuzzi riesce ad evadere - il sogno di tutti i prigionieri di guerra - per ripresentarvisi 17 giorni dopo. Nel frattempo non ha trovato di meglio che scalare Monte Kenya, la seconda montagna più alta dell’Africa. Chi fa alpinismo serio sa cosa sia quota 5000; può solo immaginare cosa sia arrivarci senza attrezzature, con mezzi, viveri, indumenti ed equipaggiamento di fortuna.
Quando Benuzzi scrisse la storia della fuga, fatta insieme a due compagni di prigionia, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti, l’immancabile humour del traduttore inglese trovò il titolo perfetto «No Picnic on Mount Kenya». Non lo fu certo.
La vita di Felice Benuzzi non si esaurisce nell’avventura keniota. Una volta liberato, egli continuò naturalmente a fare alpinismo, dimostrando che non era stata solo l’ebbrezza dell’evasione dal campo a spingerlo verso la vetta africana. Divenne diplomatico e per circa trent’anni alternò la sua passione per la montagna l’impegno professionale in sedi esigenti, come Berlino Est nel cuore della guerra fredda, e con una ricca attività di scrittore, pubblicista, negoziatore. Una figura a tutto tondo che appartiene alla «grande generazione» che ricostruì l’Italia, e l’Occidente, dopo la tragedia della guerra.
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mercoledì 3 maggio 2017
Giornata mondiale della libertà di stampa: Ankara piange, ma il resto del mondo non ride
La Giornata mondiale della libertà di stampa 2017 è tinta con il rosso della bandiera turca e con quello del sangue degli oppositori in carcere. La situazione è difficile, anzi difficilissima: basta parlare con qualcuno in Turchia per capire quanto l’aria, da quelle parti, si sia fatta irrespirabile negli ultimi tempi; tanto per la stampa quanto per i dissidenti. Nel paese della mezza luna si rischia di finire nei guai per un Tweet o per uno stato su Facebook.
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Giornata mondiale della Libertà di Stampa, Torino ricorda Casalegno
Libertà di stampa, l’Italia crolla: ora è al 77° posto
lunedì 1 maggio 2017
Primo Maggio 1947, 70 anni fa l’eccidio di Portella della Ginestra
Il bandito Salvatore Giuliano e i suoi complici spararono sui lavoratori siciliani riuniti per celebrare la Festa del Lavoro, che era stata spostata dal regime fascista al 21 aprile. Caduto il segreto di Stato rimane la difficoltà di accedere agli atti che nascondono una verità che nonostante venga commemorata non è ancora stata raccontata
Nella foto, Ansa, Serafino Pecca, l’ultimo dei sopravvissuti |
Un nome primaverile che evoca un giorno di morte. Ricorrono oggi i
settanta anni dalla strage di Portella della Ginestra, in Sicilia. Il
Primo maggio 1947 una folla di lavoratori, donne, bambini e anziani fu
bersagliata dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano,
mentre ascoltava il discorso di alcuni dirigenti del Pci in occasione
della Festa dei lavoratori. La prima che si tornava a festeggiare in
quella data, dopo essere stata spostata dal regime fascista al 21 aprile
(il «Natale di Roma»). Furono undici le persone uccise (a cui
aggiungiamo le morti avvenute successivamente), più di sessanta i
feriti. Una strage ancora senza mandanti (qui la prefazione di Ferruccio de Bortoli alla
riedizione del libro di Tommaso Besozzi «La vera storia del bandito
Giuliano»): nell’area tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe
Jato e San Cipirello in molti si erano ritrovati anche per la vittoria
elettorale del «Blocco del Popolo» (l’alleanza tra socialisti e
comunisti) alle elezioni regionali del 20 aprile (qui il racconto di Egisto Corradi dall’Archivio del Corriere).
Grasso: «Arrivare alla verità»
Qui si sono svolte oggi le celebrazioni a livello nazionale della Festa del Primo maggio, alla presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Alle 8 il ritrovo alla Casa del popolo, poi deposizione di una corona di fiori al cimitero in memoria dei caduti e corteo nelle strade della cittadina e sul luogo dell’eccidio. Un anniversario per il quale si è speso in prima persona anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, chiedendo di rendere pubblici i documenti ancora non accessibili e accertare i mandanti di una strage che ha segnato la stagione delle lotte per la terra e, più in generale, la crisi politica, sociale e dell’ordine pubblico del dopoguerra.Le parole dell’ultimo sopravvissuto
«Ci
eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche
l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per
manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore
quando sentimmo degli spari», racconta settant’anni dopo ancora commosso
Serafino Petta, l’ultimo sopravvissuto alla strage. «Avevo 16 anni,
pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho
capito.
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