C'è un uomo che nella realtà ha compiuto le stesse azioni di Elzéard Bouffier, il pastore raccontato da Jean Giono nel libro "L'uomo che piantava gli alberi" e che generazioni di lettori hanno creduto, per molto tempo, essere davvero esistito.
- Laura Nosenzo
Nella sua lunga vita, spenta dieci anni fa, Giovanni Giolito ha messo nella terra oltre ventimila germogli tra il Sud Astigiano e la Liguria.
La Val Sarmassa, dichiarata nel 1993 Riserva Naturale, è stato il luogo in cui ha operato maggiormente, quello di gran lunga più amato ("Il mio angolo di paradiso"), dove da bambino, non appena asciugata la rugiada del mattino, andava con la nonna settimina a raccogliere le erbe selvatiche e da adulto sedeva sotto i maestosi alberi a leggere dopo aver piantato germogli, soprattutto di quercia.
Un gesto che ha fatto fin quasi all'ultimo, fin quando ha potuto.
"Io sono davvero uguale a quel pastore - ripeteva negli ultimi mesi della sua vita - che ha piantato alberi semplicemente perché ha pensato giusto farlo. Solo questo è importante".
Di quei ventimila germogli messi a dimora Giovanni Giolito non s'è mai fatto vanto: "Lo faccio per passione e senza chiedere nulla in cambio. E' un gesto spontaneo. Nessuno me lo chiede e mi ringrazia".
Per chi non lo conosceva, Giolito era un tipo strano, per le poche persone amiche Gim è stato un uomo straordinario. Ho avuto la fortuna di essere tra queste e di raccontare la sua vita in un libro, dopo aver superato prove ritenute fondamentali, come andare a raccogliere con lui la camomilla, sotto il sole di giugno, per mettere alla prova il mio impegno e la mia pazienza.
Mentre cercavamo le erbe o deponevamo germogli, Gim mi spiegava: "Il bosco cresce in silenzio, senza far rumore. Bisogna saper aspettare, avere pazienza. Usare rispetto alla natura, perché la terra non si fabbrica. Poi succede ciò che è naturale: da un piccolo seme viene un grande albero. Pazienza se agli altri dà fastidio. Con i contadini ho avuto discussioni a non finire".
Amava la natura sopra ogni cosa. Da bambino (ribelle) le punizioni della maestra nella scuola di Nizza Monferrato, dove era nato, si risolvevano il più delle volte con movimentate fughe nei boschi della Sarmassa; già anziano, fin quando ha potuto guidare il motocarro Ape rosso da lui soprannominato con fine ironia "la mia Ferrari Rossa", è sempre tornato a rivedere, anche a distanza di decenni, gli alberi che aveva piantato. Di quei ventimila germogli, fatti nascere soprattutto da ghiande di farnie accuratamente selezionate, calcolava che soltanto una piccola parte fosse riuscita a superare "le insidie del bosco e le cattiverie dell'uomo".
Aveva per le piante lo stesso amore che si riserva ai figli: "Il mio è un omaggio alla natura. Ma ci sono stati momenti in cui ho voluto omaggiare uomini che sono stati importanti per me. Dopo la morte di Sandro Pertini sono andato nei boschi di Stella, il suo paese natale, e ho cercato delle belle ghiande. Le ho accudite con particolare attenzione e, spuntati i germogli, sono tornato là a sistemarli lungo il versante della montagna, in un posto che so solo io. Negli anni sono diventati alberi robusti".
A diciassette anni Gim pianta il suo primo albero lungo un ruscello: è un acero, la sua specie preferita. Un gesto naturale che ripeterà per buona parte della vita in Sarmassa, nella Langa, al Sassello e nei paraggi di Nizza. Con una regola precisa: "Ogni terra deve avere la sua vegetazione".
A diciassette anni Gim pianta il suo primo albero lungo un ruscello: è un acero, la sua specie preferita. Un gesto naturale che ripeterà per buona parte della vita in Sarmassa, nella Langa, al Sassello e nei paraggi di Nizza. Con una regola precisa: "Ogni terra deve avere la sua vegetazione".
Nessun commento:
Posta un commento