A 23 anni, per la prima volta trovavo qualcuno che mi tenesse testa, e ho perso il lume della ragione. Da sempre indipendente e testarda, ho iniziato a vivere per lui e per quello che voleva. Quanto quella sua cupezza fosse il sintomo di un mondo interiore mai affrontato, l’ho capito presto, ma ormai troppo tardi. Per tre anni ho cercato di tirarlo fuori dal suo gorgo, finendone risucchiata. Quell’amore ci ha resi schiavi l’uno dell’altra, ci ha fatto perdere il sonno, l’appetito, la serenità, ci ha fatto pronunciare frasi malate che mai ho avuto il coraggio di riferire a nessuno: «Se mi lasci ti ammazzo». Gli ho permesso di farmi sentire inadeguata, mai abbastanza bella o magra o intelligente. Dopo aver cercato di dimostrargli che meritavo di stare con lui, ho pensato che per farmi apprezzare dovevo essere come lui. Il bello dello stare con una persona è conoscerne anche le debolezze, e non è ancora meglio sapere che esattamente lì devi infilare la lama? Non è magnifica l’adrenalina che ti sale quando metti alla prova l’altro, lo torturi, lo porti fino al limite, e poi lo richiami a te? E siccome torna sempre, la volta dopo gli potrai fare più male. Me lo sono lasciato alle spalle da mesi, eppure questa ferita aperta, infettata, me la porto addosso. Sono tossica: da dove riparto? Non mi dire che ho la vita davanti.
M.
Conservo nello zaino una collezione di frasi di
buon senso a cui attingere nei momenti di disperazione e di pigrizia,
ma «hai la vita davanti» te la risparmierò. Non l’ho mai sopportata
neanch’io. Come quel «morto un papa se ne fa un altro» con cui durante
l’adolescenza gli amici tentarono di liquidare la mia prima sofferenza
amorosa. Perché se ne farà pure un altro, di papa, ma solo dopo avere
pianto e seppellito il defunto con tutti gli onori.
(...)
Massimo Gramellini
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