giovedì 27 agosto 2009

Trecento e otto

Serra bene gli occhi al sussulto risolutivo
che della sacra terra ne fece un boia senza rimpianti.
Senti la canzone del giorno successivo
che di quelle note dissonanti ne viene il nefasto ricordo.

Di urla che raccontano d’un gemito prematuro
nell’aria fremente alle prime ore del mattino.

Mesta sorge l’alba.
Suona il tamburo della nera sorella
che sorda giunge mentre la terra ancor sussulta
come per voler sovrastare qualsiasi altra cosa
o per dire a tutti che ella da la vita e così ella la riprende.

No! È una menzogna!
Che di colpa vi sia una macchia
o di dolore vi sia tristezza
Non v’è dubbio.

Così c’è da intendete il fremito della ragione
quando la terra reclama il suo diritto!
Là, di ragione, per quel prezzo, ve ne è ben poca.

Il sentiero che si spezza.
La strada che pian piano si dissolve.
Accade tutto prima che il sole prenda a ghermire la notte.

L’Aterno segue la sua via.
Sobbalza forse
ma non si cura certo dell’aria insalubre
che alla sua sinistra si leva notte tempo.

Il nuovo giorno batte forte quindi il suo bastone.
Esso è un crudele despota che reclama
un sì triste dazio.

Se infine v’è una giustizia
o un sommo guaritore dell’anima
o qualsiasi sia il suo nome che tanto declama d’essere misericordioso
Che si faccia avanti!

Di trecento e otto fu il tributo.
Che al fine si riveli, dico io!
Che venga a riscuotere.

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Andrea Gray
Dedicata alle vittime del terremoto in Abruzzo.

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