Nella foto Roberto Grattone. La ricetta del «formaggio di Leonardo» è stata rintracciata nel 1999 |
Miriam Massone
Mongiardino (Alessandria)
Al nobile banchetto
nuziale di Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, nipote di Ludovico
il Moro, un solo formaggio fu ammesso: il Montebore. Era il 1489, a
Tortona. Cerimoniere, Leonardo da Vinci, genio dell’arte e della scienza ma soprattutto attento gastronomo e grande appassionato di quella toma nata sull’Appennino a cavallo tra Liguria e Piemonte. Si dice che fu lui a suggerire il Montebore, intrigato dal gusto forte, ma pure da quella tipica, e geometrica, forma concentrica, tre strati sovrapposti a richiamare il profilo del castello del minuscolo borgo che al formaggio ha poi dato il nome.
In realtà le origini sono ancora più antiche: la sua preparazione, a base di latte di mucca (70%) e pecora (30%), si fa risalire ai monaci benedettini nell’Ottocento. Poi con lo spopolamento delle valli si è perso, e nel 1982 il Montebore che faceva venire l’acquolina in bocca a Leonardo da Vinci si è estinto definitivamente. C’è voluto un Indiana Jones dei formaggi per ricostruirne la storia e soprattutto restaurarne la ricetta e riportarlo sulle tavole italiane degli intenditori (e sugli scaffali di Eataly).
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