Non possiamo rinunciare alla speranza
<< Oriana, dalla finestra di una casa
poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere
ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle
tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano
le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi
anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di
questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo,
alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di
scambiarci delle “Lettere da due mondi diversi”: io dalla Cina
dell’immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per
colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di
allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che
tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti.
Davvero mai come ora, pur vivendo sullo
stesso pianeta, ho l’impressione di stare in un mondo assolutamente
diverso dal tuo. Ti scrivo anche – e pubblicamente per questo – per non
far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti
sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri.
Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza;
nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la
ragione; il meglio del cuore – la compassione.
Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. “Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia”,
scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’indicibile orrore della
Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al
contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e
confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato,
cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di
quel consapevole silenzio per scrivere ‘Gli ultimi giorni dell’umanita’,
un’opera che sembra essere ancora di un’inquietante attualità.
Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole,
influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un
momento di straordinaria importanza. L’orrore indicibile è appena
cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una
grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme
responsabilità perchè certe concitate parole, pronunciate dalle lingue
sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che
dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che
rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici,
il suicidarsi e l’uccidere. “Conquistare le passioni mi pare di gran
lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho
ancora un difficile cammino dinanzi a me”, scriveva nel 1925 quella
bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: “Finché l’uomo non si metterà di
sua volontà all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci
sarà per lui alcuna salvezza”.
E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro
tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi
davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia
accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per
rendercela più accettabile, “Libertà duratura”. O tu pensi davvero che
la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che
mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte
le guerre. Non lo sarà nemmeno questa.
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