Per ragioni tristemente strumentali si arriva a dare dell’assassino a un padre
che ha speso tutto se stesso per offrire un appiglio legale e di buon senso
a quel vasto numero di persone che non sanno leggere verità scritte sotto dettatura divina.
Nessuno alza il velo sulle reali cause di morte - morte drammaticamente posticipata - di Eluana Englaro: incidente automobilistico,
una delle 7.000 vittime ogni anno (più di quelle causate dalla terribile guerra civile in Sri Lanka, tanto per stare sul concreto)
che in Italia il culto pagano del motore a scoppio divora tra i cori di entusiastica adulazione
alle quattro ruote di cui siamo vittime quotidianamente.
Eluana è stata ammazzata, sì è vero, ma dalla follia della motorizzazione di massa,
da un’invenzione di fine ‘800 che (a distanza di più di un secolo lo possiamo dire con una certa serenità)
ha sfregiato tragicamente il volto di questo pianeta.
Gli spazi urbani non ci appartengono più, l’aria che infiliamo senza scelta nei nostri polmoni ci condanna a morte,
il respiro della terra si è fatto affannoso.
Ma se l’industria dell’automobile mostra sacrosanti segni di stanchezza,
se non si vendono più macchine perché non si sa dove metterle,
si alza un grido unanime d’allarme e si chiede ai poveri automobilisti
rinchiusi a forza nelle loro scatole di metallo - che pagheranno a rate con l’amaro sudore della fronte - di correre
in soccorso del mostro che li uccide e divora i loro risparmi.
Dal fordismo in poi non sappiamo più pensare a un’economia costruita su valori e modelli
che sfuggano all’attrazione gravitazionale dei motori a scoppio.
Siamo in coma anche noi,
ma non si vedono all’orizzonte disegni di legge per salvarci.
Mauro Mainoli.
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